Verona, via Santini - 06 Agosto 2009
C’erano una volta le Feste dell’Unità, delle quali, sinceramente, non capivo nulla, chi le faceva, a cosa servivano, perché attiravano così tanta gente (mangiavano gratis, o bevevano gratis, ancora davvero non lo so), però mi sono sempre un po’ rimaste nel cuore, perché fu proprio ad una di esse, nel 1986 a Reggio Emilia, che per la prima volta ascoltai Van Morrison; e forse anche quando ascoltai i Clash, per la prima ed unica volta, sempre a Reggio Emilia, due anni prima, fu ad una Festa dell’Unità.
Poi le feste cambiano, i partiti vanno e vengono, ma, fortunatamente, la musica, quella che a noi piace e che vorremmo sempre ascoltare dappertutto, rimane, e così, quando alla fine del tour, all’inizio di agosto, a poche centinaia di metri da casa mia, era “billed” Fanfara Ziganka, l’occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire. Il gruppo, veronese, è la migliore espressione italiana della musica centroeuropea, con ampie e splendide digressioni nelle regioni finitime, dalla Grecia al Medio Oriente.
Lo spettacolo che ha proposto è quello, già visto ed apprezzato, nell’autunno dell’anno scorso a Verona, al Teatro Camploy, e che ha portato in giro, più volte e con grande risposta di critica e di pubblico, anche in Italia. Si tratta di un viaggio lungo la Mitteleuropa verso Est servendosi di quella via di transito che da tempo immemorabile è costituita dal Danubio, con particolare direzione verso la parte orientale del nostro continente, scandito nei vari passaggi da una musica prevalentemente strumentale, fatta ora di lievi suoni ora di indiavolati ritmi.
Si attraversano così tutte le terre percorse od anche solo lambite dal fiume europeo per eccellenza, unico punto di incontro, da sempre, fra le culture occidentali e quelle orientali, fra quelle di origine sassone e quelle di origine slava. Macedonia, Albania, Romania, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Armenia divengono in questo modo lo sfondo ove collocare piccole storie e grande musica ed arrivare fino al gran finale di musica klezmer, il suono degli ebrei dell’Europa dell’Est, che diviene punto di partenza e di incontro di molti spunti musicali.
Fra i brani più coinvolgenti segnalo “Poloxia De La Birka” di chiara matrice ungherese, con la
fisarmonica ed il flauto a guidare la danza, ma i fiati “possenti” a fungere da base ritmica pulsante,
mentre, fra i brani più meditativi, spezzo la lancia del mio gusto personale per “Makedonsko Devojce“,
aperta dal flauto e poi in un crescendo che si svolge nel cantato dolcissimo.
La voce, discreta, ma sempre di grande effetto e presa, è quella di Emanuela Perlini, che si alterna fra
il canto, le percussioni e la danza.
Caratteristica del gruppo, infatti, è quella di affiancare talora alla
musica un set di danze locali perfettamente calate nel clima creato dai
suoni.
Provvede a questo, come detto, Emanuela Perlini, art director della band, qui e là aiutata da Davide Zambelli.
In tal modo l’impatto della musica è ancor di maggiore effetto, soprattutto quando, come in questa serata, il pubblico è tutt’altro che tecnico, e certo votato a ben altre tradizioni sonore. Ed è anche così che Fanfara Ziganka riesce a cogliere l’obiettivo di avvicinare al proprio suono spettatori altrimenti difficilmente raggiungibili con la stessa efficacia e funzionalità. La serata vede anche l’apparizione di Gianni Burato, che con il suo pennello / pennarello ha dipinto ancora una volta le vele del battello di Fanfara Ziganka, riempiendo di nuovi colori il fondale che chiude il palco, proseguendo un’opera iniziata proprio in occasione dell’uscita del gruppo al teatro Camploy.
Meritano di essere ricordati i musicisti, perché ognuno di loro porta un contributo indelebile al suono della banda, cominciando dalla già citata Emanuela Perlini. E poi Giuseppe Zambon, fisarmonica di grande suggestione nei brani più malinconici, e di vibrante fuoco in quelli più dinamici, votato ad un lavoro instancabile, e Didier Bellon, percussioni precise e perfettamente calate in ogni brano, discreto, ma insostituibile in ogni momento, ed i fiati: Davide Zambelli alle ance piccole, e Renzo Segala, maestro di cerimonie, attento e sapiente narratore, a quelle più possenti, e lo special guest della serata, come si dice in America,
Marco Pasetto, del quale tutti a Verona conoscono la bravura, ma che in questa occasione (one and only one performance, direbbero sempre in America) si è rivelata ancor di più, tanta è stata la sua duttilità nell’adattarsi ad un genere di musica certo lontano dalle sue origini, ma anche dalla sua frequentazione abituale. Il viaggio si va a chiudere con “Ale Brider”, canzone che in lingua yiddish intitola “Tutti fratelli”, e che testimonia ancora una volta lo spirito che anima il gruppo, volto anche al recupero dei valori sociali che la musica porta con sé, e “Ziganka”, l’inno del gruppo.
Nulla, come la musica, oggi riesce ad unire gli uomini, a qualunque
latitudine, in qualunque terra, al di là di qualunque bandiera.
SET LIST:
Hora Din Caval
Urdareste De La Tudora
Rumelaj
Poloxia De La Birka
Cobancat
Trei Pazeste
Makedonsko Devojce
Liliano Mome
Vlasko Horo
Karagouna
Misirlou
Ambie Dagits
Garoon
Zemer Atik
Tants Tants Yedelleh
Long Live The Nigun
Brachatz
Ale Brider
Ziganka