Davide Van De Sfroos – Goga e Magoga – 2014
Davide Van De Sfroos – Goga e Magoga – 2014

E intanto Van De Sfroos non sbaglia un colpo! Quanta carne al fuoco in questo suo ultimo "Goga e Magoga"!

Storie, visioni, personaggi, ambienti, situazioni, richiami più o meno letterari, fantasie... un contenitore sanamente caotico di tanto e di tutto ciò, oltre che di bella musica!

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Stavolta il Nostro si spreca e si spreme, salta dal palo alla frasca con una miriade di strumenti e generi, dalle classiche ballate che sempre lo hanno distinto, ai rockaccioni zona Tom Petty/Mellencamp, a echi gospel, non disdegnando intrusioni di folk irlandese, atmosfere soft alla Paul Simon... che confusione!! Che "Goga e Magoga" vera e propria!

Il cantautore del Lacc de Comm si conferma il più interessante e dotato degli ultimi vent'anni, ormai lo si dice da tempo ma è vero.

Queste sue sedici tracce per oltre un'ora di musica sono la dimostrazione, se mai ce ne fosse ancora bisogno, di uno stile e una zampa ben riconoscibili, di una varietà linguistica e musicale che, pur facendo leva "sui soliti quattro accordi", come lo ha bollato Elio nella sua "Canzone del Primo Maggio", li mescola con strumenti sapientemente impastati ed incastrati nei posti giusti.

La "botta sonora", in alcuni brani, è davvero notevole e val la pena dare due tacche allo stereo per spararla fuori come si deve!

I testi sono sempre pieni di simbolismo e metafore e, in alcuni in particolare, il Nostro si mette a nudo, mette in piazza la sua confusione "bipolare", il suo non capirci più niente di tutto ciò che ci circonda.

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Senza voler fare paragoni inutili, se il testamento musicale del grande Guccini (il suo "L'Ultima Thule") metteva nero su bianco e pentagramma i suoi ricordi, le sue radici e la Storia di una vita, quindi era ben piantato e faceva leva su di un'età e un mondo ben precisi, "Goga e Magoga" mescola le carte.

C'è una esortazione a "rompere il guscio", rivolta ai ragazzi, nella traccia di apertura "Angel", ben impalcata sugli strumenti elettrici, le mille domande di sempre nella sognante "Ki", dove ognuno poi cercherà la propria risposta, il ritratto della sua generazione assai smarrita nel terzo brano ("Figlio di ieri"), dall'andazzo western.

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Ci sono i personaggi della giovinezza che entravano a vedere i vecchi film al "Cinema Ambra", il ritratto dolcissimo ed affettuoso dell'Infermiera, che cura i feriti di ogni guerra, il vecchio che rimane a guardare e curare tutto il suo reame ne "Il re del giardino"(riferimento a "Il Pensionato di gucciniana memoria)... e una gran pegnàta che contiene tutto ciò e molto altro ("El calderon de la strìa").

Non manca l'omaggio al suo amato vento, né un pensiero a quelli che sono sempre in viaggio,alle anime in pena sospese tra malcontento ed entusiasmo, con l'elettrica di Maurizio Glielmo che fa la sua parte in "Il Viaggiatore", una bella ballata blues arricchita ed impreziosita dai cori e controcanti di Leslie Abbadini, quasi onnipresenti.

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La traccia che titola l'album è un caos elettrico, col violino zingaro a menar le danze, una introduzione vocale che sembra un muezzin e prosegue a mo' di folk arabeggiante sui famosi "tre accordi" belli schitarrati... manca solo il didjeridoo per un ponte musicale sul globo terracqueo! Il testo è duro, un cazzotto in pancia sui nostri tempi disillusi e privati di sogni ("Varda scià, semm ruaa,ne la crapa gh'emm un pesce motosega, la girandua soe i ball, e i sogni di oltri li sistemum cul mazzot"), e un rimando alla "strada per nessuna parte" dei vecchi Talking Heads.

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Un'invettiva chiara contro chi deturpa, manganella, tenta di seppellire un passato colpevole il cui riflesso appare in superficie... le magagne di sempre!

Spacca alla grande anche "Mad Max", liberamente ispirata all'omonimo film degli anni Ottanta con Mel Gibson e Tina Turner, storia dell'apocalisse atomica che lascia un sole pallido come un'ostia, un ambiente che ricorda il Mc Carthy del romanzo "La strada" e un solo personaggio col sorriso che canta storie e chiede ascolto.

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Qua siamo in zona Jethro Tull, con il flauto che scheggia impazzito tra le chitarre sature, i controtempi e un possente giro di basso! Suonano tutti e di tutto, in questo album, e al buon Glielmo sono affidate le parti di chitarra più rock, come gli si conviene...e come si sente alla grande!

E' particolare il ritratto degli "Omen", che hanno lavorato una vita per costruirsi qualcosa, mettendoci impegno ed energia ora risucchiati dai troppi anni e se ne stanno lì seduti "con't i vuus de ieer soel fund de la buteglia", forse un po' dolente ma carico di dignità.

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E via di questo passo, con la divertente e poliglotta "Gira gira" e la poetica "Colle nero" suonata in punta di plettro. Gran bel lavoro, da leggere anche, libretto alla mano!

Non è immediato, istantaneo, anzi!

Coraggiosa la scelta di canzoni lunghe che obbligano ad ascoltare,verbo accantonato in un periodo dove la nostra attenzione si distrae dopo qualche minuto, a lasciarsi prendere dal dialetto aspro e consonantico della frontiera tremezzina che le rende vive e ne fa dei ritratti efficaci, schietti, a volte rugosi come una "Crusta de Platen"...
...serè i oci, riva le storie! (citazione )!

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