Palasharp, 03 giugno 2009
foto prese da https://www.rockol.it
Dunque…da dove cominciamo?
Boh! Partiamo dall’inizio, e cioè dalle buone notizie : partenza da S.Giovanni Ilarione ore 18, arrivo davanti al Palasharp a Milano ore 19.30!! Niente fila, niente colonna, giornata che volge al desìo fresca ed arieggiata, l’ideale per una nottata di rock ad alto voltaggio! Una figata!
La fauna di bikers capelloni, unita alla selva di bandiere sudiste, dà una nota di colore e un tono simpatico alla zona cementificata del milanese berlusconizzato. Meno male che qualche bella faccia placida e calma la si vede ancora e non sono tutti frettolosi come sui metrò presi per Springsteen lo scorso anno. Se poi ci si aggiunge la solita venefica “fumerìa” di ciminiere della zona di Dalmine, il paesaggio umano di motociclisti, t-shirts e baracchini dei panini risolleva il morale.
Sono in compagnia dei “soliti” Fulvio e Carlo, contenti come me di assistere al concerto dei Lynyrd! Da “Sweet Home Alabama” in giù, tante canzoni le abbiamo mandate a memoria. Alcune le suoniamo pure e scaldano il cuore ogni volta, con i riff di chitarre assassine, il basso semplice e pieno come piace a Lucio, la batteria che sembra sempre non riesca a reggere i colpi vigorosi del picchiatore!
Siamo tutti incuriositi. Finora non avevamo mai visto una band di rock sudista, e le critiche dei precedenti concerti (avevo letto qualche articolo su quello di Birmingham) si sono dimostrate entusiastiche ed hanno elogiato sperticatamente sia il gruppo che lo show proposto.
Vedremo. Intanto siamo in fila alle nove meno un quarto,con il solito fastidioso incolonnamento squadrista, assieme ai nostrani Rebel Dream, giovani musicisti della zona molto bravi e al settimo cielo per l’arrivo dei loro beniamini!
Il Palasharp si riempie pian piano fino a gremirsi quasi del tutto e alle 21.30….ECCOLI!!
In arrivo con la loro carica micidiale, i Lynyrd si presentano con un tris di chitarre, basso, batteria, pianoforte e voce! Seguiranno le due coriste dopo una manciata di canzoni. Poker omicida come aperitivo: “Working for M.C.A.”, “I ain’t the one”, “Saturday night special” “What’s your name”, chitarre sferraglianti, batteria leggermente in sordina ma comunque presente, basso quasi invadente, voce un po’ monotona e senza particolari picchi.
La partenza non è malaccio, dài, siamo appena all’inizio, ‘sti qua si stanno scaldando, ancora un paio di canzoni e decolleranno DI SICURO per le prossime DUE ORE E MEZZA! Come diceva Bud Spencer in “Lo chiamavano Trinità”? “Non c’è problema : i cavalli sono freschi, il conducente riposato, creda a me signora, il viaggio andrà bene e non ci assalterà nessuno”, o giù di lì.
Eccoli quindi continuare con una “Simple man” lentissima…forse un po’ freddina? …suvvia un lentaccio ci sta tutto a questo punto…bravi ma….OH, come osi?! Non dire nulla sul sancta sanctorum del southern rock, ragazzaccio impertinente!! E’ peggio che sparare sulla croce rossa e poi ricorda : hanno APPENA COMINCIATO!!
Avanti quindi con “That’s smell”. Sì, si difendono ma ormai dovrebbero essere a mille! Dove sono gli assoli lunghissimi di chitarra che dettano legge in questo genere di musica, le legnate secche di basso ebatteria, la voce coinvolgente dall’accento strascicato?
MA COSA TI SALTA IN MENTE, RAZZA DI IGNORANTE ITALIOTA?! QUESTO E’ AMERICAN PRIDE, ORGOGLIO AMERICANO!! SENTI CHE ROBA, SONO I CONFEDERATI DEL ROCK QUESTI QUA!!
Vabbè, ci sarà da ascoltare anche la vocina piccina della coscienza ma se il ritmo scanzonato e boogie/rock di “Whiskey Rock and Roller” risolleva gli animi, dopo si affonda nel baratro. Tre canzoni in una : “Downsouth junkin/Needle and the spoon/Double Trouble” hanno la durata globale di SEI MINUTI!
Il tanto decantato leader storico Gary Rossington si aggira come uno zombie un po’ avulso da tutto il resto,se non in qualche scambio di assoli (poca roba), la sua Les Paul Custom ha un suono a volte buono, spesso impastato (sarà lui che non si ricorda i giri o stasera ha abusato dell’uso del gotto o, ancora, è l’impianto tarato da un pianista del conservatorio), il cantante è addirittura scandaloso, privo di sussulti e fiacco! Basso e batteria reggono, il pianista spara discreto le sue note ma nulla di memorabile. A onor del vero non suona male nemmeno “Gimme back my bullet”, però tutto manca di incisività, non c’è carica né grinta. “Gimme three steps” passa via come scoreggia al vento, “Call me the breeze” ha il pregio di riconciliarci con il famoso riff, , “Sweet Home Alabama” sembra suonata dai ragazzi dell’oratorio!!!
MA SIAMO AL PALASHARP A SENTIRE I LYNYRD SKYNYRD O IN BELLOCA AL MOTORADUNO DEI RAGAZZI DI MONTORSO VICENTINO?!
Uscita di scena e rientro per un’incendiaria (stavolta sì) “Free Bird” finale! Bene, ragazzi, les jeux sont faites!!
Dopo BEN UN’ORA E VENTI DI CONCERTO PER CINQUANTAQUATTRO EURI DI BIGLIETTO (fate voi il costo al minuto) questi cafoni di americani se ne tornano a casa!! E FINALMENTE, DICO IO!!
Delusi e amareggiati ci avviamo all’auto. Senza riprendere in mano il discorso già ben sviscerato dal Nico sul rapporto “quantità/qualità/prezzo” dei concerti, e senza scomodare paragoni non solo con il Boss, ma anche con un Santana o un Clapton, le riflessioni in materia sono comunque d’obbligo.
Non voglio sparare a zero, ma non è lontanamente concepibile che questa band di mestieranti, molto bravi per carità, non conceda più di ottanta minuti di musica senza alcun sussulto!!
Vivaddìo, con tre amplificatori per chitarra alti cinque metri, con tre solisti del calibro di quanto visto, con un pubblico numerosissimo e caloroso, con l’aspettativa alle stelle per un ritorno in grande stile si doveva rendere di più e molto meglio! Siamo abbastanza agli antipodi del bellissimo “One More from the Road”, il mitico live del 1976. D’accordo, i Lynyrd Skynyrd erano decisamente un’altra cosa, tra sfighe e lutti ne è rimasto uno solo e neanche tanto ben messo a vedere.
Però tutto ciò, sempre secondo il mio modesto parere, non giustifica la povertà di un simile show e la stanchezza con cui hanno suonato brani di trent’anni e più. La band potrebbe andar bene per suonare ad un motoraduno, come ho detto, per il resto si tengano pure il loro “rebel”, il loro General Lee, i loro loghi da biker fest, la loro retorica di “orgoglio sudista”!!
Per incendiare una platea un minimo appassionata serve ben altro che l’apparenza!